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Patent Box con o senza ruling

Il patent box è un’agevolazione fiscale, prevista e disciplinata dall’art. 1 co. 37 – 45 della Legge 190/2014 e dal DM 28.11.2017, avente ad oggetto un’esenzione del 50% dei redditi conseguiti dall’utilizzo di determinati beni immateriali, quali:

  • software protetto da copyright
  • brevetti industriali
  • disegni e modelli
  • processi, formule e informazioni relativi a esperienze acquisite nel campo industriale, commerciale o scientifico giuridicamente tutelabili.

Possono usufruire dell’agevolazione tutti i soggetti titolari di reddito di impresa, a condizione che esercitino le attività di ricerca e sviluppo di cui all’art. 8, comprese le società e gli enti diversi dalle società, e i soggetti stranieri, con o senza personalità giuridica, residenti in Paesi con i quali sono in vigore convenzioni contro le doppie imposizioni e hanno stabile organizzazione nel territorio dello Stato alla quale sono attribuibili i beni immateriali agevolabili.

L’agevolazione fiscale non si applica alle società assoggettate alle procedure di fallimento, liquidazione coatta o amministrazione straordinaria dall’inizio dell’esercizio in cui viene emesso il provvedimento che ne dispone l’apertura.

L’opzione per l’esercizio dell’agevolazione ha durata pari a cinque anni, irrevocabile e rinnovabile. Per il 2015 e il 2016 per aderire bisognava presentare un apposito modello all’Agenzia Entrate. Successivamente è stato previsto l’esercizio dell’opzione nella dichiarazione dei redditi e decorre dal periodo d’imposta al quale la medesima dichiarazione dei redditi si riferisce.

I redditi che costituiscono la base per il calcolo dell’agevolazione possono derivare dalla concessione in uso dei beni immateriali oppure dal loro utilizzo diretto.

Per determinare l’agevolazione in primo luogo è necessario individuare l’ammontare del reddito derivante dall’utilizzo dei beni immateriali. Dopodiché si moltiplica tale reddito per una percentuale (nexus ratio), pari al rapporto tra:

  • i costi di ricerca e sviluppo per la creazione, il mantenimento e l’accrescimento e sviluppo dei beni immateriali
  • il totale dei costi complessivi, pari alla somma dei costi di cui al punto precedente più il costo di acquisizione, anche mediante licenza di concessione in uso, del bene immateriale sostenuto nel periodo di imposta.

I costi qualificati al numeratore possono essere aumentati di un valore pari alla differenza tra i costi complessivi al denominatore e i costi qualificati, nel limite del 30% di questi ultimi.

Prima dell’entrata in vigore del Dl n. 34/2019 – “decreto crescita”, per la determinazione del reddito generato dall’utilizzo dei beni immateriali e le plusvalenze derivanti da una loro eventuale cessione era necessario giungere ad un accordo con l’Agenzia Entrate, presentando un’istanza di ruling.

A decorrere dal periodo di imposta in corso al 1° maggio 2019 (data di entrata in vigore del Dl n. 34/2019 – “decreto crescita”), i soggetti che optano per il regime di patent box possono scegliere, in alternativa alla procedura di ruling, di determinare e dichiarare direttamente il reddito agevolabile, rimandando il confronto con l’amministrazione finanziaria a una successiva fase di controllo. A tal fine, devono indicare le informazioni necessarie alla determinazione del reddito agevolabile in un’idonea documentazione, predisposta secondo quanto previsto dal provvedimento attuativo dell’Agenzia delle Entrate.

Dopo l’accettazione del ruling ci sono più opzioni per recuperare l’agevolazione:

  • variazione in diminuzione dell’intero reddito agevolato del periodo tra l’anno di presentazione dell’istanza di ruling e l’anno di sottoscrizione del ruling, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di sottoscrizione del ruling (DM 28-11-17 art. 4 c.4)
  • indicazione della variazione in diminuzione per anno di competenza presentando, se già scaduta, la corrispondente dichiarazione integrativa per ciascun anno di agevolazione (circ. 11/E/2016). Tuttavia bisogna tenere conto che, a causa delle modifiche apportate dal DL 193/2016, se le dichiarazioni integrative vengono trasmesse oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, i crediti d’imposta (o i maggiori crediti d’imposta) emergenti da queste ultime potranno essere utilizzati in compensazione solo a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui le integrative stesse sono state inviate.

Se la dichiarazione di un certo anno non è ancora scaduta (ad esempio perché l’accordo di ruling è stato accettato prima della scadenza della dichiarazione), è possibile presentarla inserendo la variazione in diminuzione.

Se si sceglie di determinare autonomamente il reddito agevolabile, è necessario predisporre la documentazione prevista dal provvedimento dell’Agenzia Entrate n. 658445 e comunicarne il possesso con la dichiarazione relativa al periodo di imposta per il quale beneficia dell’agevolazione patent box.

L’agevolazione va ripartita in tre anni, a quote costanti, riportando una variazione in diminuzione nelle rispettive dichiarazioni. È possibile percorrere questa opzione anche se è già stata presentata un’istanza di ruling. La predisposizione e la comunicazione del possesso della documentazione è necessaria per evitare le sanzioni di cui all’art. 1 c.2 del D.lgs. 471/1997 in caso di accertamento e rettifica del reddito escluso in applicazione del patent box.

Beneficiare dell’agevolazione senza il ruling preventivo, pur essendo la via più rapida, presenta maggiori profili di rischiosità. Con il ruling è possibile definire e risolvere a priori i punti di controversia con l’Agenzia Entrate, che altrimenti potrebbero emergere successivamente in caso di controlli. In caso di mancato o parziale riconoscimento dell’agevolazione non sono dovute sanzioni ma anche il semplice venir meno del riconoscimento fiscale potrebbe essere molto dannoso.

Sul sito internet dell’Agenzia entrate è pubblicata una raccolta della principale Normativa e Prassi.

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Il reddito da lavoro dipendente prestato all’estero

Quando i cittadini italiani si recano a lavorare all’estero, in qualità di dipendenti di imprese italiane oppure estere, spesso conservano comunque la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR.

Di conseguenza si rende necessario indicare tali redditi in dichiarazione, in quanto per le persone fisiche residenti la base imponibile include tutti i redditi ovunque prodotti (principio della world wide taxation).

Il lavoro dipendente all’estero è disciplinato da specifiche disposizioni da parte del Testo Unico delle Imposte sui redditi e dalle convenzioni OCSE contro le doppie imposizioni, stipulate dall’Italia con 96 Paesi.

In particolare, l’art. 51 comma 8-bis del TUIR, stabilisce che il reddito da lavoro dipendente:

  • prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto
  • da persone che soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni nell’arco di 12 mesi[1]

è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale. Queste ultime sono retribuzioni determinate sulla base dei contratti collettivi nazionali di lavoro in vigore per le diverse qualifiche (operai, impiegati, dirigenti ecc..), raggruppati per settori di riscontrata omogeneità (es. industria, commercio ecc.). Alcune qualifiche vengono ulteriormente suddivise in fasce di reddito, per le quali la retribuzione convenzionale è definita dalla fascia di reddito effettivo in cui ricade il lavoratore.

Questa modalità di determinazione del reddito sostituisce quella analitica basata sulle voci in busta paga, che rimane applicabile nei casi in cui non siano rispettati i requisiti di cui sopra. In caso di determinazione analitica, vanno applicate le regole previste dall’art. 51 del TUIR.

In ogni caso si pone il problema della doppia tassazione, in quanto anche lo Stato nel quale si svolge l’attività lavorativa applicherà le imposte previste dal proprio ordinamento. Le norme nazionali, all’art. 165 del TUIR, disciplinano le modalità di recupero delle imposte pagate all’estero, che vengono riconosciute nella forma di credito d’imposta.

Sono tuttavia previste delle limitazioni per evitare che lo Stato italiano finisca per finanziare le pretese tributarie di un altro Stato:

  • in primo luogo, le imposte estere pagate a titolo definitivo sono ammesse in detrazione fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo.
  • in secondo luogo, nel caso in cui il reddito prodotto all’estero concorra parzialmente alla formazione del reddito complessivo, anche l’imposta estera va ridotta in misura corrispondente. È il caso della retribuzione convenzionale, dove spesso accade che sia più bassa rispetto a quella effettiva. Per questo motivo, l’imposta estera da considerare per il calcolo del credito d’imposta è data dal seguente calcolo: imposta estera * (retribuzione convenzionale / retribuzione estera effettiva).

Il calcolo del rapporto richiede la determinazione della retribuzione estera effettiva secondo le regole del TUIR (in particolare dell’art. 51 TUIR, che prevede la non imponibilità di alcune voci di busta paga quali i contributi previdenziali).

Il lavoro dipendente è trattato anche dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. In particolare esse stabiliscono che i salari e stipendi che un residente di uno Stato contraente riceve per un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. In quest’ultimo caso, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili anche in detto altro Stato se, alternativamente:

  • il beneficiario soggiorna nell’altro Stato contraente per un periodo o periodi che oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno fiscale considerato
  • le remunerazioni sono pagate da o per conto di un datore di lavoro che è residente dell’altro stato contraente
  • l’onere delle remunerazioni è sostenuto da una stabile organizzazione che il datore di lavoro ha nell’altro Stato contraente

In tali casi è dunque riconosciuta la potestà impositiva di entrambi i paesi e le convenzioni prevedono il riconoscimento di un credito d’imposta che però non può eccedere la quota d’imposta italiana attribuibile al reddito in esame nella proporzione in cui lo stesso concorre alla formazione del redito complessivo.

Se i redditi prodotti all’estero non vengono inseriti in dichiarazione sono previste pesanti sanzioni.

In particolare, nel caso in cui nell’anno vengano conseguiti solo redditi esteri e non si presenti alcuna dichiarazione, si incorre in una sanzione dal 160% al 320% delle imposte dovute o del maggior credito utilizzato, con un minimo di 333 €.

Se invece sono stati prodotti dei redditi in Italia ed è stata presentata una dichiarazione, si incorre comunque nella sanzione prevista per la dichiarazione infedele, dal 120% al 240% delle maggiori imposte dovute o del maggior credito utilizzato.

[1] I 183 giorni di soggiorno possono essere conseguiti anche a cavallo di due anni solari.

Dispositivi antiabbandono: al via le richieste per il bonus

Sulla Gazzetta Ufficiale n. 39 del 17-02-2020 è stato pubblicato il Decreto 28 gennaio 2020 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasposti, che disciplina le modalità di attribuzione del contributo per l’acquisto o per il rimborso di parte del costo sostenuto per l’acquisto dei dispositivi antiabbandono, conformi alle caratteristiche tecniche di cui al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 2 ottobre 2019, n. 122.

Il contributo o il rimborso deve essere richiesto da uno dei genitori o altro soggetto esercente la responsabilità genitoriale su un minore che non abbia compiuto il quarto anno di età al momento dell’acquisto del dispositivo antiabbandono.
E’ erogato mediante il rilascio di un buono di spesa elettronico del valore nominale di 30 euro per l’acquisto del dispositivo antiabbandono associato al codice fiscale di un minore.

Per richiedere il bonus è necessario registrarsi sulla piattaforma informatica accessibile, dal 20 febbraio 2020, dal sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Clicca qui per leggere il Decreto.

Capitale sociale – Riduzione in caso di mancata esecuzione dei conferimenti in seguito ad una delibera di aumento

1) Nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota.

2) Il socio moroso di società a responsabilità limitata non è ammesso, secondo il disposto dell’art. 2466 c.c., ad esprimere il proprio voto nelle decisioni e deliberazioni assembleari, ma non perde anche il diritto di controllo sugli affari sociali, ai sensi dell’art. 2476 Codice civile, comma 2, sino a che egli resti parte della compagine societaria in esito al procedimento intrapreso dagli amministratori.

Il socio moroso, invero, fino al completamento del procedimento di vendita coattiva o di esclusione non cessa di essere socio (ad es., egli è computato nel quorum costitutivo, ma non nel quorum deliberativo, come si desume dall’art. 2368, comma 3, C.C.).

Mentre, dunque, il voto resta “sospeso” per il tempo della morosità, quale misura sanzionatoria e sollecitatoria dell’adempimento, non così i diritti amministrativi ed, in primis, il diritto di informazione e di ispezione, di cui all’art. 2476, comma 2, C.C., che resta a presidiare la trasparenza dell’andamento societario.

Sono questi i due principi di diritto fissati dalla Corte di Cassazione, Sezione civile, con la sentenza n. 1185 del 21 gennaio 2020.

Per scaricare il testo della sentenza 1185/2020 clicca qui.

Plastic Tax: chiarimenti nella Circolare di Assonime

Assonime ha pubblicato la Circolare n. 2/2020 con la quale affronta in prima analisi il nuovo tributo istituito dalla Legge di bilancio 2020, denominato imposta sul consumo dei manufatti con singolo impiego (MACSI) e aventi la funzione di "contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari" (c.d. plastic tax).

Nel documento sono elencate le principali caratteristiche e criticità della misura tra cui, in particolare, la definizione dell’oggetto del tributo, la sua esigibilità, il procedimento di applicazione, e la sua compatibilità con le direttive comunitarie che stabiliscono i limiti entro i quali gli Stati membri possono istituire imposte sul consumo diverse dall’IVA e dalle accise armonizzate.

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